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From dobianchi.com
Italy Day 2: Bartolo’s Beret - April 19, 2008
Although she was happy to learn that her father has achieved cult status in the über-hipster wine culture of lower Manhattan and she liked the allusion to Che Guevara, Maria Teresa Mascarello (Bartolo’s daughter) told me that the beret pictured in the Terroir wine bar t-shirt below is a photomontage. Maria Teresa didn’t know about the tee until someone printed out a copy of my post Is Mascarello the New Che Guevara? and brought it to her (she doesn’t use the internet). When I got back to NYC, I put in a call to Paul Grieco, owner of Terroir, who sells the tee. But he never called me back. I guess I’ll just have to go buy a t-shirt and send it to Maria Teresa myself.
Maria Teresa and her mother Franca (below, left) concluded that the Terroir t-shirt (below) is a photomontage.
Italy Day 2…
On April 2, I awoke in the guest room of the Castello di Zumelle, the fairy tale serenity of the Piave river valley broken only by the sound of a rooster’s cock-a-doodle-do in the distance. I bid the Dalpiva family farewell and headed south to the A4 autostrada and then west toward Piedmont and the Langhe hills where I had an appointment with Maria Teresa Mascarello of the famed Bartolo Mascarello winery, ardent defender of traditionally made, blended (as opposed to single-vineyard) Barolo.
When I showed Bartolo’s wife Franca and Maria Teresa an image of the Bartolo Mascarello t-shirt, they couldn’t get over the fact that Bartolo’s physiognomy has taken on such an aura in the U.S. They loved it. (In the photo above, they are viewing an image of the t-shirt on my laptop.) They also greatly appreciated the text written on the verso of the tee, “Bartolo Mascarello, my wine revolution…”
Before we went to tour the cellar and taste some wines together, Maria Teresa told me that her father only allowed her to install a phone in their home and adjoining winery in 1989, “after the Berlin wall fell.” He insisted that the phone be listed not under the winery’s name but rather in Maria Teresa’s name, as it remains today.
As we were tasting the 2004 Barolo, the cellar master came up to the tasting room and brought us a taste of the 2005: they had just finished blending the wine in that instant and we were literally the very first to taste it. What a thrill… (I’ll be posting a tasting note together with a profile of the Bartolo Mascarello winery next week on VinoWire.com.)
Above: a collection of old bottles in the Bartolo Mascarello cellar.
Da TigullioVini
Intervista a Maria teresa Mascarello - di Alessandro Maurilli
Il vino citato nel titolo, non importa l'anno, lo conosciamo tutti. Il nome rimanda inevitabilmente al precursore della filosofia del vignaiolo, il grande Bartolo Mascarello.
A circa un anno dalla sua scomparsa abbiamo deciso di fare una panoramica sull'attuale mondo del vino e lo abbiamo fatto intorno a un calice di barolo con la figlia, Maria Teresa. Disponibile a scambiare emozioni sul suo vino, come il padre quando riceveva gli appassionati in cantina, Maria Teresa oggi è la vignaiola di via Roma, pronta a seguire i clienti nelle visite quotidiane e a dare manforte al costante e puntiglioso lavoro in vigna ereditando in pieno l'antica tradizione dei Mascarello.
Ci racconta come è nata la sua passione per il vino?
In realtà non è stato tutto così naturale come si potrebbe immaginare. Il mio percorso è stato di carattere letterario, infatti mi sono laureata a Torino in lingue e letteratura straniera. Addirittura fino a venti anni di età sono stata completamente astemia provocando anche non pochi imbarazzi da parte di mia madre che non riconosceva questa mia lontananza dal vino. Poi la svolta è arrivata assaggiando un bicchiere di Sauterne Chateau d'Yquem portato a un pranzo da un caro amico di mio padre. Se è vero che l'educazione sentimentale del vino parte da un bianco non potevo cominciare meglio. Da lì il passo successivo al vino non sarebbe stato poi così lontano. Mi sono laureata in lingue è vero, in francese, ma con una tesi dal titolo "Il vino e l'enologia nei dizionari storici francesi". Questo è stato il primo segnale che ho lanciato a mio padre. Era il 1993 quando ho cominciato a lavorare in azienda inizialmente seguendo il lato amministrativo e facendo accoglienza.
Quando invece il primo approccio diretto con la cantina?
E' avvenuto nel 1997 da quando cioè si è allontanato l'enologo che si trovava in azienda. In questo momento ho fatto la mia scelta di rimanere a casa e di lavorare per questo patrimonio costruito dalla mia famiglia. La scelta è stata dettata dal mio forte legame con la famiglia e con il territorio, valori che mi ha trasmesso mio padre negli anni e ai quali non potevo rinunciare.
Quali sono stati gli insegnamenti di suo padre?
Nella nostra famiglia si fa vino da sempre, ma mai nessuno è stato enologo. Dal 1997, da quando mio padre mi ha accolto in cantina, ho ricevuto molti insegnamenti di carattere pratico. I maggiori insegnamenti li ho appresi tuttavia ascoltando quello che mio padre diceva sul vino, sui vigneti. Casa Mascarello è sempre stata un posto di ritrovo per amici che producevano vino e clienti appassionati che venivano a comprarlo. Era inevitabile percepire i segreti di famiglia. Inoltre lo scambio di idee e il confronto diretto sono sempre stati elementi della mia quotidianità per cui le emozioni si trasmettevano in maniera indiretta. Non è stato pertanto un insegnamento "accademico", a tavolino. Fin da piccola mio nonno mi portava su un motorino in giro per i vigneti parlandomi di questi con una passione tale che non avrei potuto allontanarmi dalle mie terre.
Venendo a questioni più tecniche, proprio in questo periodo si parla dell'introduzione anche in Europa dell'uso dei trucioli nel vino. Lei cosa ne pensa?
Per me il vino è e deve essere un prodotto della natura. Usando queste tecniche innaturali non si dovrebbe più neanche chiamare vino. Il vino è la fermentazione dell'uva e quindi il suo riposo. Quando si parla di biotecnologie si parla di una bevanda privata di una sua connotazione naturale.
Suo padre si arrabbierebbe oggi riguardo a questo?
Assolutamente si! Vedere che l'industria enologica arriva a questo per noi rappresenta una retrocessione nel fare vino.
Oggi cosa è cambiato secondo lei nel fare vino?
Da noi niente, si fa vino come allora. Io seguo la scuola di mio padre, mio padre quella di suo nonno e via all'infinito. Le proprietà sono sempre le stesse. La pratica è sempre la stessa. A livello di fermentazione non c'è stato nulla di diverso. Abbiamo certo rinnovato negli anni le botti invecchiate sempre rigorosamente ricambiate con botti in rovere di Slavonia.
Ultimamente ha "sconvolto" un po' tutti gli appassionati del vino un giudizio molto pesante su uno dei vostri prodotti da parte di un giornalista americano in una rivista nota. Cosa ne pensa della stampa del settore?
Io credo che i giornalisti dovrebbero avere più umiltà e più responsabilità nel giudicare il lavoro di tanti produttori che con il vino ci vivono. Può anche darsi che un dato vino non sia di gradimento a una persona, ma in questo caso evitiamo di parlarne in maniera distruttiva.
E delle guide invece cosa ne pensa?
Non condivido il metodo numerico utilizzato per giudicare il singolo vino. Il punteggio spesso viene dato da persone che neanche hanno la "patente" per farlo. Sono sempre stata d'accordo con la tecnica introdotta da Veronelli che valutava il vino dando un giudizio complessivo e nella sua evoluzione temporale. I vini dovrebbero essere valutati con maggiore ponderatezza. Non si può dare un voto a un vino dopo una giornata di assaggio in cui ne sono stati testati altri cento. Inoltre non sono d'accordo con la richiesta di campioni. Molti produttori hanno del vino che riservano per i giornalisti. Io credo che per l'assaggio ogni professionista dovrebbe acquistare il vino che trova in commercio per essere sicuro della corrispondenza. Trovo anche curioso che lo stesso vino vari a volte drasticamente da guida a guida (vedi appunto il vino che dopo i "tre bicchieri" è stato massacrato dal giornalista americano).
Lei è d'accordo con chi pensa che il sistema delle guide abbia cambiato il mondo del vino in Italia?
Da una parte credo che sia stato positivo perché le guide hanno fatto conoscere realtà vitivinicole piccole nel mondo. Da altri punti di vista si è trattato di un gioco perverso di rincorsa al successo visto anche il fiorire di molte pubblicazioni. Una responsabilità però va anche attribuita ai produttori che in alcuni casi si sono fatti sopraffare dal giudizio della stampa di settore. Penso che i viticoltori dovrebbero prendere una posizione in merito perché se le guide ci sono è grazie a noi che facciamo il vino, bene o male. Dal punto di vista dei gusti c'è da dire che a un certo punto tutta la stampa ha favorito l'uso delle barriques, perché il mercato lo chiedeva e perché bisognava offrire al mercato vini più "internazionali". Oggi molti fanno marcia indietro e si torna a parlare dell'autoctono. Un motivo ci sarà…
L'anno scorso alcune etichette di barolo e barbaresco sono state "svendute" da una catena di discount in Italia e in Germania. Cosa ne pensa?
E' stato devastante per le nostre piccole realtà. Non è possibile essere credibili presentando bottiglie a 100 euro in enoteca e poi trovarne altre a 6 euro al discount.
Su questi presupposti quale secondo lei il futuro del vino italiano?
Dal mio piccolo osservatorio della provincia di Cuneo assisto a corsi e ricorsi. Si passa da periodi di internazionalizzazione fino ad arrivare a momenti come quello attuale in cui c'è un ritorno ai vini della tradizione. Alla fine credo che la tradizione dei vignaioli sia quello che resta per cui potrebbe essere vincente continuare a fare il vino in maniera tradizionale puntando su questo aspetto come arma vincente nel mercato.
Cosa fa la differenza di un barolo Mascarello?
La diversità dei nostri vini, come quella di molti altri piccoli vignaioli che hanno lavorato anche come noi, è quella di essere stati fedeli alla tradizione del territorio. Abbiamo continuato a fare vino come lo facevano i nostri nonni e questo secondo me ha fatto e continua a fare la differenza insieme al rispetto dei valori storici portati avanti con l'orgoglio di appartenere a queste terre.
Ci saluta con una sua immagine di Bartolo Mascarello in vigna?
Per la verità è una immagine che mio padre mi raccontava sempre di quando lui era giovane nel vigneto con suo padre. Mentre potavano vedevano saltellare il vicino di vigna. Alla fine del filare, curiosi, hanno chiesto la motivazione e il vignaiolo ha spiegato che quell'anno la figlia si sarebbe sposata per cui avrebbe dovuto fare più vino. Essendo piccolo di statura saltava per spuntare il tralcio più in alto così da avere più gemme. Questo per me ha sempre significato molto perché mio padre lo ricordava con molta ironia e affetto.
From "New York Times"
Bartolo Mascarello, winemaker of Italy
Bartolo Mascarello, a Barolo winemaker whose enduring adherence to traditional practices in the face of changing fashions made him a symbol of staunch loyalty, died Saturday at his home in the town of Barolo, Italy. He was 78.
The cause was cardiac arrest, said his daughter, Maria-Teresa.
Italian winemaking underwent profound changes in the past 40 years, but Mascarello refused to swim with the tide, clinging tenaciously to the methods of his forebears, who taught him how to make wine.
"I'm loyal to the tradition of my father and my grandfather," he said in an interview in 2003. "I don't want to throw that away to make wine as they make it in Australia and Chile and Sicily." For years, Mascarello's unyielding stance branded him as a has-been among some of his peers and Italian wine critics. But in the late 1990s, the trends began to turn back his way, and his wines began to receive critical acclaim.
"We never went with the trends, and we suffered," said Maria-Teresa Mascarello, who assisted her father for many years. "The press would speak well of them and attack us as people who couldn't keep up with the times."
Barolo is produced from the nebbiolo grape in the hills of Langhe, in the Piedmont region of northwestern Italy. Unlike cabernet sauvignon, chardonnay or pinot noir, which produce fine wines all over the world, nebbiolo refuses to flourish anywhere else.
In their youth, Barolo and its sibling wine, Barbaresco, are classically austere and tannic. But as they age, the tannins soften, releasing gorgeous, earthy flavors often described as tar, licorice, truffles, violets and roses. This evolution sometimes requires a decade or more.
In the last third of the 20th century, many Barolo producers sought to speed up this process. Traveling around the world, they tasted other wines and noted the public's taste for softer, fruitier wines that were enjoyable at an earlier age. They adopted the techniques of the French and the Americans, spurning the traditional botti, or big barrels, in favor of barriques, the French term for small oak barrels, which impart a more supple tannin.
Da "Lavinium"
Maria Teresa Mascarello e il suo primo, grande Barolo, di Roberto Giuliani
Bartolo sarebbe contento, anzi, esulterebbe se potesse assaggiare lo splendido Barolo 2005 che sua figlia Maria Teresa ha fatto "tutto da sola" e presentato nei giorni scorsi a Vino Vino Vino 2009. L'ho trovata sorridente, piena di vita, almeno in apparenza serena, tutti tratti che ho percepito nel vino, degustato venerdì sera durante la manifestazione che si è svolta a Villa Boschi, nei pressi di Isola della Scala, a pochi chilometri da Verona. Erano due anni che non la vedevo. L'anno scorso sono anche passato davanti alla sua casa, ma non avevo proprio il tempo per fermarmi. Vederla così carica, con gli occhi pieni di energia positiva, energia che ho percepito anche durante il suo intervento durante l'assemblea che si è svolta la sera, mi ha fatto immensamente piacere. La foto che ha scattato Alessandro Franceschini la riprende esattamente così, nella sua semplicità, che non nasconde un velo di soddisfazione, assolutamente giustificata. Perché il suo Barolo 2005, il primo prodotto interamente da sola, è splendido, frutto di un millesimo che forse non sarà subito apprezzato da tutti, come accade con le annate di Barolo "classiche", se non da coloro che amano il nebbiolo anche quando "morde". Ma quello di Maria Teresa, contrariamente a molte annate precedenti, appare avere quasi un tocco femminile, non tanto nella trama tannica, pur sempre decisa e bisognosa di tempo per smussarsi, quanto in una vivacità espressiva del frutto, fresco e dinamico, coadiuvato da una florealità ricca di grazia. E che pulizia! Un naso magnifico, sin dal primo approccio, una trama vibrante che ritroviamo perfettamente al palato, un Barolo che riesce a fondere la grazia e la dolcezza con l'acidità e la forza tannica dell'annata, senza apparente difficoltà. Un vino che ha un profilo elegante e un carattere langarolo, longevo eppure già godibile, invitante. Una gran bella prova per la figlia di Bartolo, ma chi la conosce non ha mai avuto dubbi sulle sue capacità. Brava Maria Teresa!
Da "Armadillo Bar"
Barolo, il fascino di Maria Teresa Mascarello
Ci vorrà ancora qualche anno di attesa per festeggiare il centenario, e non sarà il fatidico 2012 a poter cambiare qui le cose, perché qui la consapevolezza è già arrivata da un pezzo, non serve spiegare niente, basta guardarsi intorno, basta annusare l’aria, qui nel 2018 si farà un bella festa di centenario con le bottiglie di Bartolo e di Maria Teresa Mascarello, senza se, senza ma ; perché l’attaccamento alla terra pagherà sempre e darà indietro ancora di più, e non saranno i prevedibili e radicali cambiamenti di stile di vita comune che potranno alterare l’inalterabile. Io ho già prenotato una seggiola, vorrei esserci, anzi, più convinto, ci sarò! Probabilmente il denaro non sarà ne necessario ne, forse, disponibile, allora in cambio forse porterò una cassetta di carciofi, o una di zucchine trombetta, o se sarà d’estate dei pomodori cuori di bue, grandi come il cuore del Patriarca del Barolo.
Cose che non si possono ereditare, però il carattere c’è, e non lo scopriamo certamente oggi, Maria Teresa è una che non te le manda a dire, sbrigativa e sincera, pratica e diretta, però anche con qualche riserva di sorrisi e atteggiamenti meno duri di quanto vorrebbe fossero, sono piemontese anch’io, conosco la filosofia della cortesia alla piemontese ; non ci riesce a fare la dura e pura fino in fondo, meglio così, certe rigidità meglio abbandonarle.
Ci sediamo per un bicchiere Franco?
Lo so che devi guidare, però mica dobbiamo fare la verticale dell’anno, siamo qui in visita di cortesia.
La Freisa non è partita, ancora non si muove, però a sentirla bene in bocca qualcosa che frigge si comincia a sentire, la sua naturale esuberanza e il suo carattere capriccioso si farà forse attendere fino alla prossima primavera, ma non c’è fretta, intanto c’è qui il Dolcetto che nebbioleggia in leggerezza, lontano da tante grossolanità d’altrove.
Franco Solari, alias Franco il Trattore, alias Sancio Panza ...
Anche la Barbera è più rotonda e meno acida che presso altri produttori, sarà forse il terroir, già, il terroir, sono solo cinque gli ettari di proprietà, sono decenni che sono solo cinque ettari, e quelli rimangono, e quelli connotano i vini Mascarello , figli del territorio del Nebbiolo, e quindi ovviamente l’attesa si sposta sull’attore protagonista, il Barolo.
Facciamo un veloce confronto tra un 2005 e un 2006?
Ok, no, un momento, stanno entrando le uve di dolcetto appena vendemmiate, Maria Teresa sorride e si scusa, prima del Barolo vuole andare a vedere le uve, con lo stesso entusiasmo e la stessa velata felicità o preoccupazione di una mamma che vede rincasare i bambini da scuola.
Com’è andata? Sembra bene, tutto a posto, possiamo tornare all’assaggio con il sorriso sulle labbra.
E' arrivato il Dolcetto 2010 !
Il Barolo 2005 è godurioso, accidenti, alla cieca sembra un pinot nero di Borgogna che ricorda lo stile di un Louis Remy o Coche Dury. Il colore scarico e brillante, il naso tutto virato verso i frutti rossi : parte dall’albero del melograno e poi si rivolge ad un rovo di more, ecco anche le fragoline di bosco, finendo poi in un fitto bosco di mirtilli che staccano la mente dalla Cote d’Or . In bocca è ancora più divertente, perché è goloso, c’è anche qui il sentiero parallelo che poi si incrocia nella golosità dei Bourgogne più ruffiani e beverini, c’è la gourmandise infinita che invita a ripetere l’assaggio ma bisogna fermarsi, non possiamo certo finirci la bottiglia Franco, devi guidare!
Il Sommelier del Pescatore di Canneto Sull'Oglio e Signora.
Proviamo il 2006. Caspita ! Ma sembra uscito da terroir completamente diversi. Invece no, è solo l’annata che ha cambiato le sensazioni. Il colore sembra leggermente più scuro, ma che succede, suonano alla porta, chi c’è’ ? Dei giapponesi? Ma guarda un po’, ce ne sono ancora in giro per la Langa . Ma questi sono professionisti, non turisti, si vede al volo, guarda lui come prende in mano il bicchiere con due dita di Barolo 2006 , prima di tutto lo ispeziona nel bicchiere in trasparenza ad un tovagliolo di carta bianca e solo dopo lunga pausa se lo passa sotto il naso. Ah, ecco, abbiamo qui addirittura il sommelier del Pescatore di Canneto, Hayashi Mototsugu con signora, quale onore. Bene allora incrociamo qualche commento, anche se dieci anni in Italia possono non bastare per una lingua ostica come l’italiano. Ma allora, ma questo bouquet 2006 è proprio diverso, le note floreali hanno a questo stadio rimpiazzato totalmente i toni di frutti rossi della 2005. Qui è la violetta che da il via al corso fiorito, fiori rossi ça va sans dire, e una certa austerità di fondo ritrovata coerentemente in bocca. Hayashi insiste a far roteare il vino nel bicchiere, ma si tiene per se le sensazioni, non parla più. Allora proseguo per conto mio e lo riassaggio , piuttosto ostico il ragazzo, meglio lasciarlo riposare, questo si farà, la stoffa c’è tutta, intanto c’è il 2005 da buttar giù senza pensieri. Ancora una cosa? Una cosa confidenziale. Lo vedi come sono i piemontesi, poco a poco si aprono, come il Barolo, e poi ti donano chicche nascoste ai più, come questo piccolo e dolce gioiello, un Barolino Chinato proprio figlio dell’annata 2005.
[P & M 102]
Proprio buono questo 2005 ...
Che piacere chiudere così, tra speziatura e dolcezza.
Grazie Maria Teresa, alla prossima, anche prima del centenario, questo è certo.
p.s. consigli per gli acquisti, fin che si trova, Barolo Mascarello 2005.
Da "Porthos.it"
Senza schema: Bartolo Mascarello
Nel dicembre del 2001, tra le pagine di un noto mensile enogastronomico, apparve un editoriale che, prendendo spunto da un'etichetta di Barolo piuttosto nota, spaziava dalle vette della politica al fondo delle cantine. L'articolo terminava con l'invito a non mischiare vino e politica. Noi cominciamo da lì.
Io che sono nato qui nel vino... Comincia con parole che non sono mie, questo racconto di una chiacchierata primaverile, nel martedì in cui l'Italia, dopo vent'anni, si ferma per lo sciopero generale. Saremmo dovuti venire qua il giorno dopo, ma in fondo ha un senso esserci proprio oggi, che il paese è fermo e riflette.
Il paese, ovviamente, è Barolo, che a dire il vero proprio fermo non è. Buyers e appassionati, in rapida successione, suonano alle porte delle cantine, salutano, comprano e lesti tornano a casa, leggeri nel cuore e nel portafoglio. Noi invece resteremo per un pò, è tempo di ascoltare.
Stavolta siamo puntuali, addirittura tre minuti in anticipo. Un quarto d'ora prima si chiacchierava, Acetone ed io, con un romano inarrestabile, commerciale nel sangue e nella carne, che ci raccontava di quando batteva i marciapiedi, vendendo vino nei tempi cupi. Visti da vicino, sembravamo una metafora della Langa d'oggidì: calabro, genovese e romano che discettano di barolo, mentre l'impiegata piemontese mesce con discrezione.
Qui invece le metafore si spengono, come il motore di Brunilda nella piazza deserta, per non disturbare. Pochi metri ed ecco la porta di casa: suoniamo timidamente, aprono e ci fanno entrare, è un buon inizio. Facciamo un pò d'anticamera, com'è giusto, il nostro uomo sta parlando di politica con un ospite, è tempo d'elezioni, si scende in campo e ci si schiera, anche qui in Langa.
Nel frattempo ci guardiamo in giro, siamo nel soggiorno biblioteca. Ala intellettuale dei barolisti, dicono. E ti credo, guarda che scaffali: tutte le annate de Il Caffè, risme di Quaderni Piacentini, poi Togliatti, Longo, Marx, Liberovici, Marcuse, il più a destra è Giorgio Bocca, e ancora testi d'estetica, quella vera, e di etica. Ma non è uno show-room, le costole dei libri raccontano le mani che li hanno aperti, gli occhi che li hanno consumati, non soltanto il piumino per la polvere o il tocco distratto del visitatore.
L'attesa è breve, neanche il tempo di sfogliare qualcosa, che c'introducono nello studio, lindo e luminoso. Oltre la scrivania, un vecchio col cappello e gli occhiali: il signor Bartolo Mascarello.
Si esita a volte a dire e scrivere "vecchio", preferendo di solito eufemismi ipocriti e gentili, di quelli che trasformano un universo concentrazionario in una residenza protetta, ma non è giornata per piroette verbali, la parola vecchio ha un significato preciso, è la nostra ansia giovanilistica a darle una sfumatura negativa, quasi da insulto, che qui è fuori luogo, fuori tempo, fuori gioco.
In principio era l'etichetta, spunto di una piccola polemica contro un colonnista inossidabile, che talvolta indigna e talvolta persino fa sorridere, ma qui, nella stanza luminosa, quelle parole sembrano lontane e sfocate, la polemica ancora più piccola, tanto che mi viene quasi da ringraziarla, quella livida penna, per avermi spinto fin qui. E allora parliamo subito della famosa etichetta, che tanto subbuglio ha portato nel piccolo mondo del vino. Non sono certo il primo a chiedere come sia andata, temo persino di annoiare, di costringere l'interlocutore all'ennesima ripetizione, ma la vecchiaia insegna la pazienza, ed il signor Mascarello con me ne ha, per questo comincia a raccontare, semplicemente.
Dell'incidente, della malattia, non parliamo per nulla, ma è qui, presente, non ci lascia un attimo, marca quel futuro che, come dice lui, è già dietro le spalle. Il distacco dalla vigna e dalla cantina - eccolo, il male che si defila e poi riappare - crea un vuoto doloroso, che le etichette, per quanto possono, provano a riempire. E' così che quel tempo vuoto, di chi, da un giorno all'altro, è passato dalla vigna alla scrivania, si anima dei segni delle matite, di colori accesi, di paesaggi infantili e lievi, densi di simboli e richiami, tesi a rileggere anni e momenti di una vita piena.
Si respira un'aria quasi proustiana, ma ci pensa il marketing a riportarci a terra, perché le etichette da passatempo diventano cadeaux, una ogni sei bottiglie, e funzionano da subito, i clienti ne fanno collezione. Coi tedeschi, in particolare, è una piccola rivincita, erano loro a farlo correre durante la guerra, col mitra puntato dietro la schiena, ora si dannano per un'etichetta, comprano e supplicano quella per la moglie, la zia, la nonna. Guardo le matite colorate sulla scrivania, è come pensavo, le mandano i tedeschi, per gratitudine e simpatia.
Dopo anni pieni di colline fatate e damigiane volanti, coccinelle e belle donne, macchine per cucire ed autoritratti, disegnare è diventato via via più faticoso, così il segno si affina, la parola sostituisce colori e paesaggi, senza tradire la mente e l'idea.
L'etichetta incriminata nasce anche per gioco, ironica e leggera, ma a leggerla e basta sembra un proclama: no barrique, no berlusconi. Vediamola, chiedo, ed ecco che da una busta esce una colorata risma di etichette; le dita sottili sfogliano lentamente, fino a trovare quella che reca, in alto a destra, una piccola foto: indovinate di chi.
La persianina sulla foto? Così uno quando è stufo di vederlo la tira giù. Meglio del telecomando. Qui dentro non ci troverete né barrique né Berlusconi, ecco il messaggio semplice, una sorta di bugiardino alla rovescia, che riporta fedelmente le indicazioni per l'uso.
L'Enoteca Marchisio, ad Alba, la espose in piena campagna elettorale ed il caso deflagrò, grazie all'occhio vigile di certi baldi militanti. Ed arrivarono i carabinieri, con i pennacchi e con le armi, per arrestare una bottiglia, rea di non essere negli appositi spazi. Il problema non sta nell'etichetta, tanto è vero che a Predazzo le enoteche espongono bottiglie col faccione di Mussolini - per nostalgici che neanche le stappano - e nessuno dice niente, né sul vino, né sull'etichetta.
Il problema vero sta negli appositi spazi, regolamentati per legge, così da tracciare il confine tra la propaganda e l'opinione, che passa proprio da lì, pare. Il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i carabinieri, ma chissà che spasso il verbale del maresciallo, roba che manco De Sica e la Bersagliera. Infatti, come ha riconosciuto anche il suddetto maresciallo, bottiglia e cartelloni non vanno d'accordo, salvo improbabili acrobazie da carpentiere. Incidente chiuso, cortesi lettere di scuse, finisce insomma a tarallucci o giù di lì, ed ognuno la pensa come prima.
Mentre ascoltiamo il racconto, appare una bottiglia del vino di Stalin, come dice l'etichetta. E' un lambruscaccio dei tempi di Guareschi, con tanto di fioretta, come ci fa notare Maria Teresa, la figlia onnipresente. "Non è buono come non era buono lui...." , sentenzia il padre.
E allora la querelle su destra e sinistra? Il teorema della barrique di destra come il nemico Berlusconi eccetera eccetera? La piccola polemica del sentenziante colonnista si sgonfia e si schianta nella sua pochezza, l'articolista ha scritto e pontificato, ma non ha neppure telefonato per informarsi, chissà se avrà chiesto in giro, al bar in piazza, ma no, scommetto che lui già sa, a che gli serve sapere che qui si parla di etica, quella vera, e di costume, che non è un bikini né un tanga. Il contrapporsi al conformismo imperante, rifugiarsi nell'ironia con la leggerezza dei saggi, lontano universi dalla facilità e dall'obbedienza, rifiutare il trucco e la bugia trionfanti, in politica e nel vino, nella vita, insomma: tutto questo può sembrare una chiave di lettura che supera l'intenzione dell'autore. Lo so persino io che il fruitore dell'opera interagisce con l'opera stessa, la interpreta e l'arricchisce talvolta di nuovi significati, ma come suonano vuote le semplificazioni da sapientino, le schematizzazioni banali e manichee, buone per le copertine patinate e nulla più, per non dire degli inviti a non disturbare il manovratore, a fare vino senza sconfinare, ché il panettiere deve fare il suo mestiere, sennò il giornalista mette tutti in riga, con qualche colonna ben piazzata dall'alto del suo caregùn.
Già, i giornalisti. Difficile il rapporto coi giornalisti enoici, come dice lui (sono io a leggere l'ironia del termine, che associo a "non eroici"? Quien sabe), scrivono quello che vogliono, tagliano, cuciono e non fanno i vignaioli, non ne sanno nulla.
Nella migliore delle ipotesi tacciono oppure omettono, come quella tapina che lo intervistò a proposito di un controverso provvedimento della UE sugli OGM e la vite. La risposta del Bartolo era chiara: se i rappresentanti italiani hanno avallato questo (il provvedimento sugli OGM e la vite) non li riconosco più come tali. Il servizio, per quanto ovvio, non riportò quella frase, per la quale la troupe si era avventurata sino a Barolo.
E non gli va meglio con i grandi nomi, enoici pure loro, a cominciare da quello che anni fa, compilando una guida, per un vino suo ed uno di Giacomo Conterno scomodò niente meno che il letame. Questa al Bartolo ancora non va giù, specie se scritta da chi, con la modica spesa di un francobollo e lo sforzo di ricerca di un questionario, pretende di conoscere un'azienda e soprattutto di giudicarla. Il passo è breve, secondo logica: chi autorizza i nuovi Soloni a giudicare? Chi sono costoro per giudicare il lavoro di un'azienda? Chi giudica i giudici?
Una volta c'erano i professori, si sapeva chi erano ed avevano un'autorità riconosciuta; oggi ci sono i giornalisti enoici, sedicenti esperti... E sottolinea sedicenti, il Bartolo, ma stavolta l'ironia si legge anche negli occhi.
Un altro passetto e siamo alle guide dei vini, che escono tutti gli anni, almeno fossero biennali, invece no, ogni anno arrivano inesorabili, peggio del Natale. Lo dice chi non ha mai risposto docilmente ai fischi che facevano da Brà, eppure sa quanto sia difficile rinunciare alle guide, molti si dibattono fra l'esserci ed il non esserci, perché se è vero che i premi moltiplicano il venduto, è così che i produttori si conformano alle guide, aderendo alla loro filosofia e diventando sudditi di esse e del mercato. Del resto, in Francia è lo stesso, classifiche, punti e premi, in un'esaltazione gridata del competere e vincere, che al Bartolo non sembra piacere per nulla.
Il vantaggio delle guide è che costano poco, per quei pochi soldi ti evitano l'attesa, lo sforzo, la riflessione, mentre andrebbero usate per quello che sono: un elenco, un indirizzario, non una scorciatoia per la conoscenza, che ha bisogno di tempo, di pazienza, di umiltà.
La barrique, guarda caso, accorcia i tempi, la gente stappa e non riflette, sbicchiera e non riflette, non attende, non ha pazienza, corre e va veloce, Dio sa dove, se c'è.
Si vende il barolo come la birra, dice lui con amarezza, ed io penso al paradosso del wine bar, che dovrebbe celebrare il santo invece di bruciarlo sulla pira, quella del consumo veloce ed immediato, versane un altro, oste.
Una volta era diverso, il Barolo si vendeva in damigiane, quelle che ora io vedo volare sulle etichette, come leggiadre mongolfiere, e che lui, da giovane, faceva volare dal camion. Al ristorante Il Cambio di Torino, la damigiana di barolo Mascarello arrivava con un sacchetto di etichette, ci pensava il cantiniere del locale ad imbottigliare, sulla fiducia. C'era anche qualche truffatore, ovvio, e dai ricordi del Bartolo spunta un genovese: Acetone ed io abbozziamo un sorrisetto, sto per dire che è acqua passata, ma sarebbe peggio, parliamo d'altro, anzi no.
Oggi si vende tutto in bottiglia, in damigiana ci finiscono solo barbera e dolcetto, del Barolo invece si fanno selezioni, riserve ed accidenti vari. Veronelli ha indicato la strada, afferma il Bartolo, una volta c'era un solo barolo, non quello di serie a e quello di serie b, coi cru alla francese. Persino il termine cru abbiamo dovuto importare, da noi non esisteva. Guardatevi le bottiglie di vent'anni fa e capirete.
Fosse facile, io non ho tanta memoria né cotanto vissuto in cui guardare, ma Acetone trasale e chiede: chi conosce il vino che si faceva dieci anni fa? Chi sa definire e riconoscere la tipicità e la specificità, ad esempio del Barolo? I ragazzi che oggi scoprono il vino sono circondati da sciroppi da competizione, asfalti liquidi, concentrati di furbizia ed altre nefandezze, e sono portati a credere che quelli odierni siano i paradigmi, senza conoscere la storia. Vero è che, secondo il poeta, la storia non è maestra di nulla che ci riguardi, ma Acetone la pensa diversamente: certo barolo d'oggi sta al barolo di ieri come la nutella sta al cioccolato, sentenzia sicuro. La nutella piace e guarda caso la fanno ad Alba, dico io, riflettiamoci.
Una volta era diverso, una volta fare barolo era fatica, oggi è bìsness.
Parole dette con un fondo d'amarezza, suonano severe, sanno di rimpianto per il passato e per la giovinezza, ma anche di giudizio morale sul presente, dall'alto monte della vecchiaia, nella chiara luce della stanza che ci ospita.
Sono lontani, per fortuna, i tempi della miseria del mezzadro, che di suo aveva solo le mani. Se il raccolto andava male, il padrone si salvava, il mezzadro no. La grandine portava all'emigrazione, dalla Langa verso Genova, la Francia, l'Argentina, oggi no, la Langa è ricca ed ha bisogno di braccia, serbe, macedoni, albanesi, purchessia.
Tuttavia, come ognun sa, c'è differenza tra sviluppo e progresso: "I nostri padri non avevano ruspe e trattori, certo, ma ci hanno lasciato un territorio integro. E noi?" Pensate al Moscato, per carità. Una storia come tante in Italia, un prodotto di punta, tanto di punta che sfonda, col beneplacito di tutti, vignaioli, commercianti, politici e chi sa chi altri. Le vigne arrivano fino alla strada, manca solo che innestino i paracarri, un'unica gran vite dal fondo valle fin su, in cima alle colline, passando per il Belbo, che quasi quasi .... Quando poi il mercato ha detto stop, come il Big Ben di Enzo Tortora, ecco l'intervento statale, a salvare posti di lavoro e vendemmie inutili.
Il piccolo produttore non può fare moscato, la tecnologia costa, ma ora non è facile neppure l'espianto, mentre il mercato continua ad autoregolarsi, cioè a punire. Ci arriveremo anche a Barolo? Nebbiolo sui terrazzi, nei vasi e nelle vasche da bagno? Si scrive bisness, si legge assalto al territorio, ed ha i colori birulò del capannone che accoglie i visitatori a Barolo, la famigerata cantina Terre da Vino, incubo del cugino Beppe. In casa ci sono ancora i cartelli dalla manifestazione, quattro gatti arrabbiati che hanno fatto notizia, da quando il barolo, nel bene e nel male, fa notizia. Eppure il sindaco ha firmato i documenti e le autorizzazioni per quella cantina, ed il sindaco non si elegge da solo, vuol dire che ai barolesi piace così, viva la democrazia. Così la famigerata cantina, da Moriondo Torinese, che nessuno sa dove sia, arriva a Barolo e s'ingentilisce i lombi; come dice Pablita, se la ricuce, s'inventa un albero genealogico di antenati illustri, da santificare nel capannone a strisce, dall'inconfondibile stile aeroportuale. La necessità del consenso ed il consenso per necessità, sono le contraddizioni della politica, in Toscana non è diverso, ironizza il Bartolo.
Il vino non è solo vino, per questo parliamo anche di libri e di coccinelle, un altro dei temi che ricorrono sovente sulle etichette.
Oggi le stagioni non si capiscono, viviamo di piogge e di grandi siccità, le farfalle non ci sono più, grazie ai pesticidi, le coccinelle, invece, sono tornate e si mangiano le uova degli acari, regolandone la presenza sulle foglie di vite. Ci sono voluti pochi mesi per liberarsene, tante grazie alla Bayer per averle sterminate coi suoi prodotti. Interrotti i trattamenti e trascorsi alcuni anni, riecco le coccinelle. Adesso in vigna siamo di nuovo all'antico, solo lo zolfo per l'oidio ed il solfato di rame contro la peronospora, con buona pace della Bayer.
I libri invece si leggevano in vigna, così come quelle riviste, e da vecchio, lo diciamo tutti, ci sarà il tempo per rileggere con calma, senza l'assillo del lavoro urgente, del tempo che manca, della giornata che finisce.
Conoscere, conoscere. Un uomo curioso, lo attira la fotografia digitale, che un bancario volonteroso ha usato per eternare le etichette, sempre loro; vorrebbe una spiegazione e noi gliela diamo, come possiamo. Alla fine è contento e ringrazia, prima di congedarci.
Umiltà, fatica, attesa: la dimensione morale del lavoro. Anche questo potremmo imparare dai vecchi, se non fosse che rompono le scatole col loro parlare del passato, una volta questo, una volta quello, e basta con questo una volta, lo dice persino lui, raccontando dei dialoghi con il padre. Ma il ruolo dei vecchi è anche questo, in un mondo che ne disconosce l'esperienza, sottraendole valore con la sua iperdinamicità. Se tutto cambia in fretta, ciò che sanno i vecchi è inutile quanto e più di loro, per noi che non li sappiamo ascoltare e soprattutto non li vogliamo tra i piedi. Così facendo, non ci ricorderanno come la vita sia sempre la stessa, come non s'inventa mai nulla, come non sia solo dei giovani la voglia di sognare, quella che ci fa dimenticare che la vita è fatta solo di giornate ad aspettare, dentro e fuori delle stanze luminose.
Prima di andar via, facciamo un giro nella cantina sotto casa, accompagnati da Maria Teresa, la figlia e continuatrice del lavoro in azienda. Donna custode, guardiana della tradizione, si è trovata in età già adulta a ricoprire un ruolo difficile; mi ricorda altri giovani di questa Langa, ebbra di gloria e di denaro, ma anche tenace e severa. Responsabilità su spalle piccole ma certo non fragili, studiava lingue a Torino, tutto un altro percorso, dice sorridendo, adesso pratichi a Barolo, dico io, coi tedeschi, sempre loro, che vogliono il Rabatt.
Meglio comunque dei coetanei locali, veri anatomisti del vino, a cena con loro non si beve mai, si scompongono i vini nelle loro qualità, ma sotto sotto si cercano i difetti. "Si girano 'sti bicchieri... e basta, che palle."
Maria Teresa non ci stupisce con aromi di viola e cacao, sentori di liquirizia e lontananze d'abete, in fondo è solo vino, il nonno lo faceva così, papà lo faceva così e adesso tocca a lei, che ama stare in vigna, dove non ci sono clienti questuanti, né telefoni né fax, solo lei e l'enologo, un giovane che non è stato facile trovare. In un caso ha telefonato la mamma del candidato, che evidentemente aveva di meglio da fare, beato lui: c'è forse da lavorare in campagna? Figuriamoci, allora no... Già, il vino si fa anche in campagna, senza camice bianco e provette, ma chi lo dice a queste povere mamme, che hanno fatto studiare i bambinoni per rinchiuderli nelle cantine cromate di qualche californiano verace?
Siamo ai saluti, è la fine della visita e del giro in cantina, quando ammutolisco davanti ad un altro scaffale: centinaia di magnum miei coetanei, impilati con ordine, si affinano quieti, un velo di polvere la sola etichetta. Arrivederci, ragazzi.
From Ken Vestola page
Notes, History, and Other Labels
- The winery was founded as "Cantina Mascarello" on January 1, 1920, by Bartolo's father, Giulio Mascarello, according to A Wine Atlas of the Langhe. He was assisted by his father, Bartolomeo, who was the cellarman at the Cantina Sociale in Barolo. Giulio was born in Barolo in 1895 and died in 1981. Just after World War II, he served as mayor of the town of Barolo. He was a pioneer as a small grower/producer of high quality Barolo.
- Bartolo Mascarello was born in 1926 and died on March 12, 2005. He joined his father in winery in the 1960s and became a ledgend in his own right. Beginning in the mid-1990s, ill-health kept him out of the vineyards. This is when he began hand-drawing labels. He was an icon of traditional Barolo making.
- Today, the winery is run by Bartolo's daughter Maria Teresa, with help from her mother Francesca.
- More information about the winery and family can be found here.
- Facts about vineyards:
o The original vineyard was a 1.9 acre (0.8 hectare) plot in the Monrobiolo vineyard, also known as Bussia di Barolo since it is adjacent to Bussia, but in the commune of Barolo. For quite some time, Mascarello's plot here has been planted entirely to Dolcetto.
o In the 1930s, Giulio purchased more land; first in Cannubi (2.8 acres = 1.1 hectares), then in San Lorenzo (0.9 acres = 0.4 hectares) and Rue' (1.9 acres = 0.8 hectares), all in the commune of Barolo.
o Finally, they bought a 4.7 acre (1.9 hectare) plot in Rocche di Torriglione dell'Annunziata in the Commune of La Morra. This plot had been owned by a family member who sold them grapes.
o Mascarello's plots in Cannubi, San Lorenzo and Rocche are planted entirely with nebbiolo, while Rue' has both nebbiolo and dolcetto planted.
o In some vintages (up to and including 1980), both a non-riserva Barolo and a Barolo Riserva were made. In these cases, these wines may have been bottled at different times, but from the same lots of wine. So the only difference between a "Barolo" and a "Barolo Riserva" is that the Riserva spent more time in cask.
o According to the website of the Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba the following Bartolo Mascarello Barolos have been bottled under their label (as well as his own):
o In 1969, it seems that Cantina Mascarello also made a Barbaresco.
From Shop Wine and Dine - A wine travel blog
Eccomi finalmente*, begging forgiveness for this long hiatus between postings.
Over the last spring and summer I had planned to travel to Piemonte in April and May but thanks to the volcano eruption in Iceland last April that prevented 10 out of a group of 14 from reaching Piemonte, I actually had to travel there again last June and immediately following off to amazing Friuli Venezia Giulia with another group.
Each trip was absolutely perfect and accompanied by my terrific travel companions, I was grateful for the opportunity to visit top estates such as Angelo Gaja, Bartolo Mascarello, Bruno Giacosa, Aldo Conterno, Paolo Scavino, Giacomo Conterno, La Spinetta, Luciano Sandrone and Oddero in Piemonte; Radikon, Gravner, Jermann, and Fantinel in Friuli and finally Movia in Slovenia. In the coming weeks I will share stories and photos from these trips that I hope will be of interest but for now, I must continue with our Amazing Women of Piemonte series.
Our next featured woman winemaker is Maria Teresa Mascarello, who since her father’s demise has had to fill some pretty big shoes in becoming the winemaker at Bartolo Mascarello.
But regardless of her shoe size, Maria Teresa is becoming a giant in her own right!
Sign to Barolo
For most of us, our life’s journey is seldom straight but full of unexpected twists and turns that hopefully will lead to the fulfillment of our destiny. Such is the road that Maria Teresa Mascarello has followed throughout her life and if the saying “all the roads lead to Rome” is true, for Maria Teresa all the roads have led her to her beloved Barolo!
As a little girBarolo Vineyardsl, her grandfather would take her on his motorino* through their vineyards, while passionately speaking of the land and its magical, perfect harmony with the environment.
Her home was often a meeting point for many legendary winemakers as well as passionate consumers who would flock to see Bartolo Mascarello hoping to purchase their “yearly allotment” of the prized Barolo wine.
But Maria Teresa’s studies at the University of Torino were in linguistics and indeed, much to her mother’s consternation, until her twenties she never even tasted a drop of wine! However wine was very much in her sub-conscious and drawing on her family’s wine making traditions, by presenting her thesis on “Wine and Oenology in French Dictionaries”, her faith was sealed.Maria Teresa in Mascarello Tasting Room
Maria Teresa’s winemaking responsibilities began in 1998 and nurtured by her legendary father Bartolo, she committed herself to protecting the land, safeguarding the values and the legacy transmitted to her by her family.
Under Bartolo’s tutelage hers was an “on the job training”, assimilating the precious and practical knowledge that her father imparted about the land, the vineyards and the wine.
Such teachings-the practice of honoring the natural process of fermentation which she equates to “a resting period” for the wine that should not be in any way disturbed or the affinamento* of the wBarolo Magnumsine in large, Slavonian oak barrels as continuing to make her Barolos not as a single vineyard cru but as an assemblage from seven acres of estate vineyards, were instrumental in forging her own commitment to traditional wine-making practices. Similarly, her decision not to purchase other parcels of land, in order to maintain the same levels of production and the estate within dimensioni umane*, thus ensuring strict quality control.
Following her father’s illness and subsequent inability to take on an active role in the vineyards and wine-making, Maria Teresa’s ascendancy to the role of wine-maker was rather smooth. By then it was quite normal to have women at the helm of top estates and she did not feel any resistance on Bartolo’s part to let go of the reins. While he dedicated himself to drawing the now famous labels through which he often conveyed his personal and political views, he became Maria Teresa’s de-facto consigliere*, always ready to impart whatever advice his daughter asked for but without interfering with the process.
2005 Barolo Signed
Photo Courtesy of Tom Viscelli
Let’s fast forward now to 2005, the first vintage that Maria Teresa produced tutta da sola* and for which to no one’s surprise her Barolo received great reviews. Lucky for me Maria Teresa presented me with a signed bottle of her 2005 Barolo which I had immortalized in this great photo!
But we are not likely to see Maria Teresa globe-trotting, promoting her wines. Not surprisingly like her father, she also shies away from most marketing efforts, not taking part in road shows, portfolio tastings etc., preferring to be part of smaller scale events where artisanal producers such as Bartolo Mascarello and their wines rather than the event, are the focus of everyone’s attention.
So what does the future hold for Maria Teresa? Chances are her life will not change at all fromMaria Teresa and Anna Maria how she has lived it thus far by still communicating through phone or fax and no internet access! In fact she confessed to me that she has not traveled farther than about two hours from her beloved Barolo, be it by road, train or plane. Hence my pledge to her, that if she will ever want to visit the US or any other country where English is widely spoken, I will be at her full disposal not only as a good friend which I am, but also as her official translator.
Allora*, who is ready to issue Maria Teresa an invitation to visit the US? I am certainly ready to assume my role-what about you Maria Teresa?
Finally, don’t forget to check out this week’s recipe, this time by Amazing Woman Chef Elisa Burlotto of Real Castello, for the classic Piemontese dessert, Bunet or Bonet (in Piemontese Dialect) .
*Italian Words of the Week
Eccomi finalmente*-Here I am, finally
motorino*-moped
affinamento*-aging
dimensioni umane*-human dimensions
consigliere*-advisor
tutta da sola*-all by herself
Allora*-Well, then
Da "Barolo di Barolo"
E’ morto Bartolo Mascarello: Barolo e il mondo del Barolo sono in lutto - 14/03/2005
Non si ripeterà più il rito, caro a tutti gli appassionati del Barolo, di ogni sensibilità e orientamento, a scrittori, intellettuali, personalità della politica e della cultura, di suonare al campanello di via Roma 15 a Barolo per essere ricevuti, anche solo per un saluto e per una breve conversazione, davanti ad un bicchiere, dal grande vecchio e dalla coscienza del Barolo.
Il grande cuore di Bartolo Mascarello, 78 anni, una delle più alte figure del panorama del re dei vini di Langa, il simbolo, il tenace difensore della migliore tradizione, (“l’ultimo dei mohicani” come amava farsi chiamare), il grande testimone di una storia e di un’identità del re dei vini italiani che vengono da lontano, sabato 12 marzo si è fermato.
Ora Bartolo, che negli ultimi anni, impossibilitato da una malattia a percorrere le amate vigne e ad occuparsi di tutte le numerose incombenze che competono ad un vignaiolo, si era inventato “artista”, e di talento, disegnando e colorando, per la gioia dei collezionisti, le fantasiose etichette del suo grande vino, coniando slogan che hanno fatto discutere, riposerà nel piccolo cimitero di Barolo, posto proprio di fronte alla collina dei Cannubi, uno dei vigneti che maggiormente hanno fatto la leggenda del Barolo.
Mascarello era entrato in cantina nei primi anni Sessanta, affiancando il padre, Giulio. Cresciuta passo dopo passo, affiancando alla normale vendita ai privati del vino in damigiane, una piccola produzione in bottiglia, e acquisendo piccoli appezzamenti di vigna in alcune delle migliori posizioni di Barolo, nei Cannubi, a San Lorenzo e Rué, e poi, più tardi, nelle Rocche di La Morra, la cantina si era conquistata progressivamente una propria autorevolezza e un indubbio prestigio. Diventando, agli occhi degli appassionati, un punto di riferimento, una certezza, in grado di proporre Barolo in grado di evolvere armoniosamente nel tempo. Proprio come qualche giorno fa, chi scrive, aveva avuto la fortuna di verificare, partecipando in provincia di Como ad una degustazione verticale di dieci annate, in magnum, del Barolo di Bartolo, e restando, come tutti gli altri partecipanti, colpito dalla grandezza, dalla freschezza e dalla vivacità del 1982, del 1985, del 1989 e persino di un sorprendente 1967.
Come non potrà mai dimenticare il grato stupore di un gruppo di grandi appassionati borgognoni, condotti in visita in cantina da Mascarello, lo scorso ottobre, conquistati da un 1989 super, e la fantasmagoria, come definirla diversamente, e la classe infinita di un magnum di 1964, sfoderato da Bartolo, alcuni anni fa, in occasione di una tavola rotonda da me organizzata, che vide per ore discutere appassionatamente di Barolo un parterre de roi formato da Aldo e Giovanni Conterno (scomparso lo scorso anno), Teobaldo Cappellano, Beppe Rinaldi, e Mauro Mascarello. E naturalmente, padrone di casa e nostro ospite, da Bartolo. Con la scomparsa di Mascarello, (il cui lavoro verrà proseguito dalla figlia Maria Teresa, che già lo affiancava da tempo), vinificatore straordinario, ma anche e soprattutto uomo di cultura, arguto polemista, strenuo difensore della Langa e del suo paesaggio, il Barolo, ed il mondo del vino italiano perdono un esempio straordinario di coraggio, di dignità, di libertà. Un uomo intimamente libero, un ineguagliabile cantore della Langhe e della dignità del lavoro in vigna, Bartolo, lascia un vuoto incolmabile e un ricordo indelebile in tutti gli appassionati del Barolo ed in tutti noi che in questi anni abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo, di essergli amici e di volergli bene, come ad un maestro.
Barolo di Barolo e tutta la comunità di Barolo si stringono alla moglie Franca e alla figlia Maria Teresa e partecipano al loro immenso dolore. Ti sia lieve la terra Bartolo, e che tu possa riposare in pace.
Da "Barolo di Barolo"
Cantina Mascarello
Bartolo
Ettari vitati complessivi: 5
Ettari vitati a Nebbiolo da Barolo: 3
Nome dei vigneti:
-Cannubi ha 1
-S. Lorenzo ha 0,3
-Rue ha 0,5 nel comune di Barolo
-Rocche ha 1,2 nel comune di La Morra
Età dei vigneti:3-50
Possibilità di visite in azienda:SI
Vendita diretta in azienda:SI
Collocazione dell'azienda: in una via laterale a sinistra rispetto alla piazza Cabutto.
Descrizione Azienda:
Per tutti gli appassionati del Barolo, di ogni sensibilità e orientamento, suonare al campanello di via Roma 15 ed essere ricevuti, anche solo per un saluto e per una breve conversazione nello studiolo di questo vignaiolo, come ama orgogliosamente definirsi, è un must. Davanti a Bartolo Mascarello, che ironicamente commenta le vicende vinose della Langa, mentre disegna e colora una per una le fantasiose etichette del suo Barolo coniando slogan che hanno fatto discutere, ci sono passati, e ci passano tutti, da noti politici, a scrittori, giornalisti, artisti, ma anche, e soprattutto, legioni di appassionati, per i quali Bartolo (Barolo) Mascarello è un simbolo, il tenace difensore della tradizione, (“l’ultimo dei mohicani” ama farsi chiamare), e il testimone di una lunga storia e di un’identità del vino che vengono da lontano.
E partono cioè dalle radici ottocentesche di questo vino unico, e dall’esperienza del padre, Giulio, che nel 1918, reduce dalla dura esperienza della Guerra, e colpito dalle grandi difficoltà in cui versa la piccola Cantina Sociale di Barolo decide, primogenito di una famiglia di vignaioli, di mettersi in proprio e diventare produttore di vini.
Cresciuta passo dopo passo, affiancando alla normale vendita ai privati del vino in damigiane, una piccola produzione in bottiglia, e acquisendo piccoli appezzamenti di vigna in alcune delle migliori posizioni di Barolo, nei Cannubi, a San Lorenzo e Rué, e poi, più tardi, nelle Rocche di La Morra, la cantina si conquista una propria autorevolezza e un indubbio prestigio. Che crescono ancora, quando, nel dopoguerra, e poi nei primi anni Sessanta, ad affiancare Giulio Mascarello (nominato primo Sindaco di Barolo subito dopo la Liberazione), entra in cantina il figlio Bartolo.
Oltre ad aumentare, sensibilmente, la parte di vino imbottigliata, Bartolo non modifica in alcun modo il modo di operare del padre, continuando a proporre per anni addirittura un’incredibile e personalissima Freisa, ma “nebbiolata”, ovvero brevemente fatta passare sulle vinacce del Nebbiolo, e senza farsi in alcun modo condizionare dalla crescente abitudine di vinificare, e poi imbottigliare, alla francese, per singolo vigneto, con l’inevitabile risultato di frammentare la produzione, si mantiene rigorosamente fedele alla tecnica tutta barolesca di assemblare le varie uve provenienti dai diversi vigneti, per assicurare un maggiore equilibrio e una superiore armonia al vino.
E l’abitudine di procedere ad un’unica cuvée, risultato dell'assemblaggio dei 4 vigneti di proprietà, (3 ettari a Nebbiolo da Barolo dei 5 complessivi, che comprendono anche una parte a Barbera d’Alba, Dolcetto d’Alba e a Freisa), è rimasta anche ora, che al fianco di Bartolo, impossibilitato da una malattia a percorrere le amate vigne e ad occuparsi di tutte le numerose incombenze che competono ad un vignaiolo, c’è, oltre che la moglie, presenza discreta, la figlia Maria Teresa, studi umanistici, ma inevitabilmente approdata al vino. Un approdo avvenuto raccogliendo il testimone della tradizione familiare, ovviamente, che prevede vinificazioni con lunghe macerazioni e paziente affinamento del Barolo non in barrique (strumento di cantina di cui Bartolo è nemico dichiarato, a tal punto da proclamarlo, apertis verbis, su varie etichette), bensì in grandi botti di rovere, ma portando, forte della sua sensibilità femminile, un contributo personale in termini di ulteriore fragranza aromatica e freschezza dei vini, consentito anche da un progressivo ricambio dei legni in cantina. Perché la tradizione, secondo i Mascarello, non è mai mummificata, ma sempre aperta al nuovo, senza tagliare le radici con il passato da cui veniamo.
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