Focus: Intervista con Francesco e Ignazio Moser
In Marzo siamo stati due giorni a Trento ospiti di Ignazio e Francesco Moser.
Francesco Moser, "lo Sceriffo", oggi conduce l'azienda vitivinicola omonima, e ama passare le sue giornate al lavoro in vigna, anche se tuttora non disdegna di inforcare ogni tanto la bicicletta.
Ignazio, il più giovane dei suoi figli, non ha ancora vent'anni, e quest'anno è alla seconda stagione nella categoria dilettanti con la squadra Dynamon Bottoli.
Dopo alcune prestigiose vittorie tra cui il campionato italiano di inseguimento individuale (buon sangue non mente) e la Piccola Agostoni, questo è l'anno decisivo per Ignazio, dovrà capire se
smettere o se affrontare il passaggio al mondo del professionismo.
Il ragazzo ha carattere da vendere e non sembra volerne sapere di accettare una via di mezzo: o un futuro da vincente, o niente.
"Sicuramente oggi fare il corridore è più difficile di prima perchè non basta essere forti.
Bisogna anche saper correre, perchè se uno sbaglia non vince".
(Francesco Moser)
Francesco M. - "Forse i giovani oggi sono un pò troppo viziati, hanno troppe altre attenzioni, che per far il ciclista non servono. Anzi, bisognerebbe cancellare tutto e pensare solo a quello."
Ignazio M. - "
Lui ha sempre avuto un'altra concezione, che però secondo me và un pò rivalutata, nel senso che è giusto impegnarsi e non lasciare nulla al caso, però in certe cose forse esagerava."
Francesco M. - "Non ha la cattiveria che avevo io in corsa. Bisogna che si faccia le ossa.
Questo sarà l'anno decisivo per lui, per capire se correre sarà il suo mestiere o se è meglio che smetta e continui con la scuola, perchè lui ha fatto la scuola agraria.
E poi anche qui nei campi c'è bisogno di braccia. Vedremo..."
Francesco Moser
INTERVISTA A FRANCESCO MOSER - GIOCHI OLIMPICI 2008 DI PECHINO, DOPING E ALTRE STORIE
Correva l'anno 1972 e non tutti ricorderanno che alla XX edizione dei Giochi Olimpici di Monaco – funestati dal tragico sequestro degli atleti israeliani che terminò in un massacro e passati alla storia per le incredibili prestazioni di Mark Spitz e la rocambolesca finale di basket tra Stati Uniti e Russia - partecipò anche un giovane talento emergente del ciclismo italiano di nome Francesco Moser. L'ex corridore ricorda ancora con rimpianto quell'unica sfortunata Olimpiade: "Sono arrivato al traguardo con una gomma bucata! Quando ho forato era troppo tardi per poterla cambiare e ho dovuto concludere la gara così, arrivando settimo anche se all'epoca ero il favorito". Moser, ospite stasera di Lagunamovies assieme a Gloria De Antoni per parlare di Olimpiadi e del'"ultima pedalata" di Bottecchia (ore 21 alla Diga di Grado), è a tutt'oggi il corridore più vittorioso nella storia del ciclismo italiano.
"Nel '72 le Olimpiadi erano ancora riservate ai dilettanti: si partecipava una sola volta e poi si diventava professionisti", racconta, "e personalmente le preferivo così. Oggi, invece, un ciclista professionista può parteciparvi nel corso della sua carriera anche due o tre volte, mentre le società dilettantistiche non hanno più un vero obiettivo prestigioso da raggiungere".
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Che cosa ne pensa delle giovani generazioni di ciclisti?
Ciclisti affermati come Cunego, Di Luca o Simoni si possono già considerare la vecchia guardia. Di veri campioni giovani, e per giovani intendo poco più che ventenni, ancora non ne abbiamo. Nibali è andato bene al Tour e Napolitano va bene in volata, ma bisogna ancora vedere veramente come vanno. Al momento i tempi non sono ancora maturi.
Stasera si parlerà, invece, di un grande sportivo degli anni Venti, che cosa pensa di Bottecchia?
È stato uno che segnato la storia, un corridore che vinceva qualsiasi competizione ed è scomparso in condizioni poco chiare. Se avesse continuato, probabilmente avrebbe potuto fare di più. Sono figure che restano e nell'ambiente si nominano ancora. La gioventù magari ne sa poco, sono passate tre generazioni e non si riesce mai a tramandare tutto, restano le cose più importanti ma un po' si dimentica.
Che è successo in queste tre generazioni?
Fino a prima della guerra c'era un ciclismo che potremmo definire "eroico", poi, dopo la seconda guerra mondiale, inizia il cosiddetto ciclismo moderno, anche se in quegli anni la tecnologia era ancora in evoluzione. La vera era moderna inizia dal '65 in poi, dopo la morte di Coppi.
Com'è cambiato il ciclismo?
È cambiato molto. Costa comunque fatica, ma sono cambiate soprattutto le condizioni di vita della gente. Allora correvano per mangiare, oggi corrono per dimagrire! È una differenza epocale: il 90 % dei ciclisti oggi corre per restare in forma. Una volta non serviva perché si andava a piedi, si facevano lavori manuali. Lo sport agonistico, inoltre, è diventato molto tecnico e tecnologico, molto mentale anche. Uno forte una volta poteva sbagliare e vinceva lo stesso, oggi non si può sbagliare niente, tutto si decide nel finale, è tutto molto calcolato, non ci sono più le grandi fughe alle quali si assisteva prima.
Lei come ha vissuto questi cambiamenti?
Ho vissuto proprio il ciclismo a cavallo tra quello di oggi e quello di Coppi e Baldini; iniziava a farsi sentire l'influenza della modernità: molta tecnologia, cardiofrequenzimetro, modi molto controllati, ricerche sulla muscolatura, ricerche psicologiche, con innumerevoli applicazioni. Adesso, dopo vent'anni che ho smesso, è ancor peggio.
Chi ha conosciuto Moser dei grandi del passato?
Coppi no, è morto quando avevo nove anni. Ho conosciuto bene il fratello Aldo, ci ho corso anche contro. Adorni e Baldini li ho visti correre mentre ho conosciuto bene Bartali ma non l'ho mai visto gareggiare. Quando ha smesso avevo due anni, ma ricordo che anche dopo tutti lo volevano, tutti lo salutavano e lo trattavano con grande rispetto. Succede finché hai delle persone che ti hanno visto correre.
All'epoca la strenua competizione tra lei e Saronni appassionò e divise in due l'Italia, come la visse?
Era un bello scontro. C'erano sempre due gare: la corsa tra me e lui e la corsa di tutti gli altri.
Rispetto agli anni Ottanta, il rapporto tra medicina e sport è completamente cambiato, che cosa ne pensa dei recenti casi di doping?
Purtroppo sono comparse moltissime medicine che alterano il rendimento degli atleti, soprattutto negli sport di durata. Sul lungo percorso la differenza tra chi ne fa uso o meno si nota in maniera sensibile. Il problema è riuscire a mettere tutti nelle stesse condizioni, se si fa un controllo, tutti dovrebbero rispettare le stesse regole.
Di che tipo di intervento c'è bisogno?
Le punizioni severe già ci sono: due anni senza correre sono davvero tanti, per non parlare del danno all'immagine. Se un atleta commette questo tipo di errore non si torna indietro, lo sanno subito tutti, ed è un marchio indelebile che si porta dietro a vita. Il problema, però, è molto complesso. Ci sono anche medici che lavorano assieme ai corridori e che li consigliano, magari male, ma è sempre l'atleta che deve rispondere in prima persona.
Certo è difficile, ad esempio, pensare che una campionessa mondiale possa aver assunto delle sostanze illegali senza esserne consapevole. Chi raggiunge certi livelli dovrebbe sapere esattamente cosa sta facendo. In questo momento c'è una comprensibile delusione nel mondo sportivo e non solo, è un momento difficile anche a livello di sponsor. Questa crisi dovrebbe far pensare e responsabilizzare. Se ci sono delle regole, bisogna rispettarle, tanto più in un momento delicato come questo.
Un consiglio a chi intraprende oggi la sua professione?
Il ciclismo, e lo sport in generale, è una scelta di vita difficile, per farlo bisogna servirlo al cento per cento, dedicarsi totalmente e non pensare di poter fare le cose solo a metà.
Il suo ricordo ciclistico più caro?
Ci sarebbero troppe cose da ricordare che hanno lasciato il segno, però, quella che forse resta di più è il Giro d'Italia.
E la dinastia dei Moser? Ci riserverà qualche nuova sorpresa?
C'è mio nipote che alle gare arriva ma per il momento non vince mai. Corrono in due, a dire il vero, dei figli di Diego: Moreno e Leonardo. E poi c'è anche mio figlio Ignazio, ma sono ancora tutti molto giovani.
Francesco Moser, vita di un ciclista che fa il vino - da
Cook And The City
Qualche tempo fa mi è capitato di intervistare colui che, per molti, è stato un mito degli anni Ottanta, Francesco Moser.
Le sue imprese sono legate alla mia infanzia e all'immagine di mio padre che, seduto accanto a me accalorato e paonazzo come pochi, tifava il grande ciclista, e a mia madre che, alzati gli occhi al cielo, gli diceva neanche troppo teneramente:"Ma Giorgio, è inutile che urli, tanto non ti sente!". Ho rintracciato Francesco Moser per un'intervista, era una calda mattina estiva, intono alle 11.30. Lui mi disse che era seduto comodamente al bar con degli amici, bevendo "un calice di quello buono", nel centro di Gardolo di Mezzo in Trentino. Oramai da anni, da quando si è ritirato dall'agonismo nel 1987, Francesco Moser vive lì, nel Maso Villa Warth dove si è messo a produrre vino. Non si creda però che abbia seguito una tendenza che, ultimamente, va per la maggiore, nossignore. Mi riferisco al connubio tra vip e mondo del vino che vede produttori, personaggi come Ottavio Missoni, Mick Hucknall, Sting, Gad Lerner, Ron e Ornella Muti, solo per citarne alcuni. Francesco Moser, al contrario, questo lavoro l'ha sempre fatto anche quando era nel mondo del ciclismo. "La nostra famiglia ha sempre prodotto vino in provincia di Trento, esattamente a Palù dove sono nato, ed io lavoravo nei campi già da quando ero ragazzo. Iniziammo negli anni Cinquanta con mio padre che vendeva all'ingrosso, poi nel 1975 quando mio fratello smise col ciclismo cominciammo ad imbottigliare".
Parlando di ciclismo gli chiedo quale sia stata la sua vittoria più bella e lui mi dice, senza mezzi termini, che ogni traguardo tagliato ha segnato per lui un'emozione fortissima, che non può scegliere. "Certo, certo – gli dico – ma ce ne sarà una più di altre". Lui ci pensa un po' su e mi dice: "Se proprio devo scegliere le dico il Giro d'Italia, perchè quella è una corsa lunga, diversa da tutte le altre. Avevo provato a lungo, per molte volte a vincerla. Quando ce la feci fu per me una vera liberazione". Parliamo del record dell'ora, a Città del Messico, quei primi 50,808 km, migliorati quattro giorni dopo a 51,151 km: Moser si trasforma in un fiume in piena. "Il primo record lo feci durante quella che sarebbe dovuta essere una semplice prova per testare la pista. Avrei dovuto fare una ventina di chilometri e poi fermarmi, ma mi resi conto che stavo andando forte e continuai. Quattro giorni dopo decidemmo di ritentare il record solo perché stavano arrivando numerosi tifosi italiani e non volevamo deluderli. Così, visto che ero in forma e mi ero preparato per mesi, volli ritentare". Venne così consegnato alla storia coi suoi 51,151 km. Ci sarebbero voluti nove anni per superarlo, nel 1993 Graeme Obree, l'uomo che si diceva avesse una bici fatta con i pezzi di una lavatrice, gli strappò il record con 51,596 km.
"Le manca l'agonismo?" – domanda secca, senza preamboli. Rimane in silenzio, poi riprende con voce decisa. "Assolutamente no. Ho fatto 20 anni di agonismo al limite della sopportazione, con sacrifici, rischi e tensioni portate all'estremo. Chi ha fatto agonismo sa bene che la vita successiva è una passeggiata. Oggi mi occupo della mia tenuta, delle mie cose e continuo ad amare il ciclismo, ma da certe storie, dalle polemiche rimango fuori". Ecco spiegato, forse, perchè non lo si veda più bazzicare l'ambiente, neanche come commentatore del Giro. Il ciclismo gli è comunque rimasto nel cuore tanto che, una volta all'anno, organizza una cicloturistica per la Valle dell'Adige, con vecchie glorie dello sport, quest'anno giunta alla 22° edizione.
Poi parliamo di vino, mi spiega cosa significa per lui stare in vigna. "Ho un'idea di viticoltura tradizionale, direi quasi artigianale. La vendemmia la facciamo tutta a mano, perchè i vigneti in collina non ci permettono di utilizzare le macchine ed io mi occupo personalmente della gestione della vite. Vado sul trattore, mi occupo della potatura e di tutto quel che concerne i trattamenti. Naturalmente non sono solo, con me, oltre ai collaboratori nei campi, c'è l'enologo, mio nipote, e mia figlia che si occupa della parte amministrativa".
Oggi produce Chardonnay, Muller Thurgau, Riesling, Lagrein, Teroldego e un Trento Doc, il 51,151, che testimonia il suo record. "Gli altri hanno un nome – mi dice ironico – noi abbiamo un numero!". Ultima domanda, quella che, intuisco di sbagliare clamorosamente, secondo la sua concezione. "Ci consigli qualche abbinamento tra i suoi vini e le pietanze trentine". Risposta: "Mah, non sono per l'idea degli abbinamenti, ognuno ha un proprio gusto e lo deve seguire. Mica devo dire io alla gente cosa mangiare. Di solito si dice che col bianco ci va il pesce, coi rossi le carni, mentre lo spumante può fare da aperitivo. Oramai c'è anche chi beve il rosso col pesce per seguire certe mode, liberissimo per carità. L'unica cosa che conta davvero, per me, è che il vino sia buono, poi per il resto che ognuno segua il proprio palato". Ed allora, de gustibus!
Non avendo mai provato alcun vino della cantina Moser, vi lascio quì sotto alcune valutazioni tratte dalla guida 2000Vini 2010.
Traminer 2009, 4 grappoli. Bella veste paglierina. La complessità olfattiva non manca:mughetto e cedro candito, pesca macerata nel vino e rintocchi minerali. Decisa la morbidezza. La freschezza, gradevole e godibile, fa da sontuosa cornice. Abbinamento: mazzancolle aglio, olio e pomodorini.
Trento Brut 51,151, 4 grappoli. Tenue paglierino con perlage continuo e minuto. Bel bouquet di mela, pera, crema di pistacchio e note mielate con, sullo sfondo, sensazioni di erbe aromatiche. Al gusto spicca la freschezza che chiude su note morbide e minerali. Abbinamento: bocconcini di gallinella al curry.
Moscato Giallo selezione Francesco Moser 2009, 4 grappoli. Paglierino. E' aromatico e intenso di fiori gialli, pesca, salvia, zenzero, smalto e frutta tropicale. Secco, ammandorlato, di piacevole freschezza e con un netto richiamo di sapore delle sensazioni olfattive. Abbinamento: risotto scampi e zafferano.
Riesling 2009, 4 grappoli. Paglierino. Mela, albicocca, litchi e fiori con accenni di felce e alghe marine. Fresco, fruttato, sapido e di buona persistenza. Abbinamento: calamarata con calamari.
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