Gianni Mura
Nato a Milano nel 1945, Gianni Mura è un giornalista e scrittore.
Dal 1964 si occupa di sport e cronache sportive, prima per La Gazzetta dello Sport e poi per La Repubblica, e dal 1967, puntualmente, ogni anno in luglio segue Il Tour de France.
Nel 2007 esce il suo primo romanzo, Giallo su giallo, vincitore del Premio Grinzane - Cesare Pavese per la narrativa 2007, ambientato durante lo svolgimento del Tour. Alla stessa corsa ha dedicato il libro La fiamma rossa. Storie e strade dei miei Tour (e il titolo del nostro film è in parte anche un omaggio a questo volume).
Tra i mille giornalisti che si occupano di ciclismo, abbiamo cercato quello che più di ogni altro è capace di trasformare la cronaca in poesia, che esprime una una visione unica, romantica, talvolta epica ma comunque mai banale, di questo sport.
Gianni Mura si autodefinisce un "suiveur" vecchia maniera, il giornalista che fisicamente seguiva i corridori sulle strade del Tour: le sue cronache hanno una cifra stilistica inconfondibile, fatta di aneddoti, riferimenti culturali, culinari, artistici.
All'interno del film, Gianni Mura ci racconta che cos'era il ciclismo e che cos'è diventato oggi.
Senza falsi moralismi, forse con qualche rimpianto, sicuramente con passione.
I miei anni con Armstrong, brutta favola del ciclismo
di Gianni Mura, dal sito www.repubblica.it
21-01-2013
In un posto che continuava a sembrarmi finto, Le Puy du Fou, nel luglio del ’99 mi appoggiavo idealmente alla canna della bici numero 181, quella di Armstrong. Tutti gli altri li avrebbe vinti col numero 1. Era un Tour senza Pantani e senza Ullrich. Armstrong ci arrivava dopo due quarti posti ai mondiali, linea e crono. E un quarto alla Vuelta.
Si conoscevano i suoi propositi, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Proprio il mare, che rende scivoloso d’alghe la stradella del Gois, fa cadere Zuelle ed è alleato di Armstrong. Nella crono di Metz cade e si ritira Julich, altro rivale di Armstrong che domina anche sulle Alpi. Tutto facile. Per me Armstrong era entrato in un cono di luce a Limoges, quando vinse e indicò il cielo per ricordare Casartelli.
È difficile rievocare quegli anni al Tour oggi, sotto un’altra luce che è quella della confessione (parziale), del crollo. Allora, almeno all’inizio, era una bella storia, forte, dura, non proprio una favola. Bisogna stare sempre attenti alla favole, nel ciclismo: Cappuccetto Rosso ha le siringhe nel cestino, la nonna spaccia e il Lupo è già cattivo di suo.
Ma una storia è una storia. Quella di un ragazzo che fin da bambino ha imparato da sua madre a essere un “guerriero della vita”. Che vince un mondiale nella bufera. Che corre solo di muscoli, cervello poco. Un torello da gare in linea. Si ripresenta cambiato nel fisico e nella testa. Parla anche in un altro modo. Giù dal podio di Parigi ringrazierà il cancroche ha fatto di lui un altro atleta ma soprattutto un altro uomo, migliore. I sospetti, quelli non sono mai mancati. Una pomata fuorilegge a Pau: “Sono un perseguitato”.
Attorno al capo c’è uno sbarramento sempre più robusto. Il più ciarliero dell’Us Postal è il cuoco, uno svizzero che si chiama Willi Balmat (“Con una nonna di Trastevere, cognome Di Rienzo”). Ad Armstrong piacciono gli spaghetti aglio e olio (peperoncino no), l’omelette (“Un rosso d’uovo e tre bianchi”), il risotto allo zafferano. Poi, le minacce di morte, le guardie del corpo, l’albergo come un fortino.
Si gira la Francia, ovviamente. Armstrong non è molto popolare, col passare del tempo. Solo Schumacher e Anelka risultano più antipatici, in un sondaggio. Ci si interroga anche tra noi in sala-stampa, o a cena. Tu ci credi? A me non piace, ma finché i controlli sono negativi ha ragione lui. Sì, perché usa qualcosa che gli altri non hanno, una cosa sperimentale, non si può avere quella cadenza di pedalate in salita, non è umano.
È umanamente strano, questo si può dire. Nel 2000 Pantani e Ullrich ci sono. In cima al Ventoux battuto dal vento sono in due, Armstrong e Pantani. Vince Pantadattilo e Armstrong dice che l’ha lasciato vincere. Pantani non gradisce e vuole fargli pagare l’omaggio-affronto. Vince a Courchevel, poi cerca di far saltare il Tour e salta lui, si ritira. È strano, o quantomeno nuovo, il modo di preparare il Tour. Già LeMond, l’amico-nemico, ne aveva fatto il centro della stagione. Armstrong ne corre almeno due: uno abbondante in allenamento, poi quello vero, quello che conta.
Si raccontano episodi al limite del fachirismo: la Madeleine due volte in maggio, pochi gradi sopra lo zero, l’Alpe d’Huez otto volte. C’è qualcosa di maniacale nel suo legame col Tour, e solo col Tour. E qualcosa di oscuro nella sua forza, che è anche la debolezza della concorrenza, sul podio si avvicendano Zuelle ed Escartin, Ullrich e Beloki, Beloki e Rumsas, Ullrich e Vinokurov, Kloden e Basso, Basso e Ullrich. Il solo a poter battere Armstrong: se non ingrassasse otto o nove chili passando l’inverno a ingozzarsi di dolci, se fosse meglio guidato dalle ammiraglie, se sapesse improvvisare e bluffare come Armstrong sul Glandon.
Anche una delle cose che i ciclisti temono di più, le cadute, sembrano non accanirsi con lui. Lo risparmiano. È Beloki che si schianta verso Gap, Armstrong a ruota ha i riflessi per sterzare in un campo di grano. E quando è lui a cadere, nella tappa di Luz Ardiden, Ullrich non lo attacca, rispettando un codice non scritto. Anche Armstrong è rispettato, in gruppo. Sempre stato così, coi padroni del gruppo. Amato, no. Troppo texano, troppo rigido, troppo esigente, coi gregari ma anche con se stesso. I gregari (quelli che poi gli testimonieranno contro) per lui si butterebbero nel fuoco. Non hanno spesso via libera. Quando succede, Hincapie vince il tappone pirenaico (altri sospetti, giustamente), Savoldelli a Revel. Ma non c’è posto per capitani alternativi, manco a parlarne. Uno solo deve vincere.
Con quali aiuti chimici, adesso si sa. Ma non è vero che tutti i giornalisti del Tour suonavano il violino. David Walsh in particolare, sul Sunday Times già nel 2001 accusava Armstrong di aver usato epo alla Motorola, e nel 2003 rincarava la dose con il libro “LA confidential”, scritto con Paul Ballester. Letti, e riferito. Ho voluto bene alla storia di Armstrong, perché mi accorgevo di quante persone riuscisse a coinvolgere, di quante speranze riuscisse a dare.
Armstrong era un ragazzo che riusciva a mettersi in piazza anche nei lati più tristi, che da malato aveva paura di addormentarsi e di morire nel sonno, che a tenergli compagnia aveva un gatto rossiccio trovato per strada e ribattezzato Chemio, e del resto anche Rogge, medico, presidente del Cio, un nonno che correva con Van Houwaert, dichiarò che di cancro si guarisce, è noto, ma che la funzionalità epatica si riteneva compromessa dalla chemio, mentre Armstrong recuperava meglio di prima.
Armstrong ha assunto un’altra faccia, ai miei occhi, il giorno di Lons, quando andò ad annullare la fuga di Simeoni, “uno che faceva del male al gruppo”, per difendere il buon nome (già) del dottor Ferrari. Un gesto antisportivo, indegno, volgare, mafioso. Chi lo compie, pensai quella sera, è capace di tutto. Ma i controlli erano sempre negativi, a Kristin succedeva Cheryl, alla telefonata di Bush l’abbraccio di Robin Williams. Un americano a Parigi, remake. La mano sul cuore. Una telenovela che non è finita con la confessione pubblica e lacunosa assai: se non si eliminano gli Alti Complici, non cambierà nulla.
E per Armstrong spiegare bene le cose ai suoi figli sarà più difficile che battere Beloki. Le salite più dure non sono quelle del Tour, Armstrong se ne sarà già accorto.
LA LUNGA ATTESA DEL MONT VENTOUX
di Gianni Mura
da La Repubblica del 02-07-2000
IL Tour, visto da Rotterdam, dove si parla d' altro, assomiglia a un indovinello. Fossi a Futuroscope, sarebbe ugualmente un indovinello ma almeno li avrei visti in faccia. Pantani con il pizzetto in meno, Armstrong con una autobiografia e due avversari in più, Ullrich con qualche chilo in meno, ma forse non abbastanza. Da qui alle Alpi, dice lui, sarà a posto. Da qui alle Alpi, mi dico per consolarmi di non essere fin dal primo giorno al Tour, non dovrebbe succedere molto. Non c' è nemmeno Cipollini. La solita, immutabile settimana per velocisti, il ritorno della crono a squadre, un solo giorno di Pirenei (lesa maestà) compensato da molte Alpi. Dal ' 91 il Tour non aveva in gara i tre vincitori delle tre precedenti edizioni e a questi tre limiterei il mio pronostico. La ragione dice Ullrich, il più giovane, il più forte a cronometro, quello con la squadra più forte. Il cuore dice Armstrong, per quello che ha fatto l' anno scorso. La ragione fa presente al cuore che l' anno scorso non c' erano né Ullrich, caduto, né Pantani, sprofondato. Non c' erano il più forte a cronometro e il più forte in salita. E allora bravo comunque Armstrong a vincere con sette minuti e rotti su Zuelle che ne aveva persi circa sei nella caduta del Gois, ma chissà come se la sarebbe cavata il texano contro quegli altri due in salute. L' équipe ha dato cinque stelle, il massimo dei favori, ad Armstrong, quattro a
Pantani e Zuelle, solo tre a Ullrich. Strano. Pantani ha detto che sente in pancia buone anticipazioni. Anche il mio pronostico parte da un punto fra il cuore e le trippe: appuntamento il 13 luglio, sul Ventoux. Pantani, che voglio continuare a chiamare Pantadattilo, non va mai a caso. è un appuntamento tra calvi, lui e il Ventoux.
E quel giorno si capirà qualcosa di più, leggere l' immediato futuro non sarà difficile come oggi, da Rotterdam. Credo che Pantani sia da sentire, più che da ascoltare o da analizzare. Esattamente come lui sente o sentiva le salite. Al Giro ha messo la testa fuori un giorno solo, il giorno dell' Izoard.
L' obiettivo di Pantani e della Mercatone è di ripetere il ' 98: arrivare ai piedi delle montagne perdendo il minimo possibile in cadute, ventagli, in tutte quelle trappole del caso che caratterizzano da sempre l' avvio forsennato del gruppo. Già ridotto prima dell' inizio, il gruppo. Nostra Signora degli Ematocriti ha avuto il suo tributo: un russo, un italiano, uno sloveno. è così che si va, congelando pipì (da cantare sull' aria di Violino Tzigano), con la prospettiva di esaltare un vincitore sui Campi Elisi e di vederlo declassato dopo due o tre mesi. Gli esami che consentono di rintracciare l' Epo nelle urine sembrava dovessero essere attuati in corsa. Invece, dopo. è come una strada ridotta a un sentiero, ma può servire da deterrente. Quando i metodi di identificazione saranno a prova di bomba, ci saranno meno bombe in prova. è da un po' che il ciclismo sconsiglia di raccontare favole. Cappuccetto rosso ha le siringhe nel cestino, la nonna è alcolizzata e il lupo spaccia. Ma il Tour rimane il Tour. Favole no, ma qualche storia si può ancora provare a raccontarla. A tra poco. Prima c' è Francia-Italia. E poi la gran lavagna verde che è la Francia.